Controlli a distanza: lo strumento di lavoro non è sempre indispensabile

Controlli a distanza: lo strumento di lavoro non è sempre indispensabile

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Si torna a parlare di tecnologie, organizzazione del lavoro e controlli in una decisione del Garante della privacy del 16 novembre 2017 , ed inserita nella Newsletter del Garante della Privacy del 21 dicembre 2017 che tocca molti dei punti ancora irrisolti sulle prassi e le norme coinvolte e mostra come, dopo due anni dalla riforma dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori e a cinque mesi dall’entrata in vigore del regolamento Ue sulla privacy (Gdpr) la strada da fare per ottenere un quadro chiaro e definitivo sia ancora molta.
Il punto di partenza è semplice: associazioni sindacali e dipendenti di Poste Italiane hanno sottoposto al giudizio del Garante un sistema di gestione delle code allo sportello che, attraverso un «display luminoso» (sul quale compare anche un mome o un identificativo del dipendente addetto) indirizza l’utente agli sportelli disponibili.

A quanto si legge nel provvedimento, il sistema rende possibile, al direttore dell’ufficio postale e/o ad altri soggetti, un controllo in tempo reale (e non) dell’andamento delle code (al fine di gestire eventuali criticità) e quindi anche il trattamento di alcuni dati relativi all’attività del dipendente addetto allo sportello (disponibilità dello sportello, tempi di evasione delle richieste dell’utente).

Senza addentrarsi nelle specifiche del sistema, oggetto di istruttoria nel corso del procedimento, è interessante passare subito alle conclusioni del Garante: il sistema, e il trattamento dei dati dei dipendenti che esso comporta, è «illecito» e viene vietato «con effetto immediato».

Il Garante rileva diversi profili di illiceità del trattamento, tra cui la mancata informativa agli interessati, la violazione dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori e dei principi di «necessità, pertinenza e non eccedenza» prescritti dal codice della privacy.

Per quanto attiene alla normativa giuslavoristica, secondo il Garante il sistema descritto non può essere considerato uno strumento di lavoro ai sensi del secondo comma dell’articolo 4 dello statuto dei lavoatori, non ponendosi come «indispensabile» al fine di rendere la prestazione lavorativa. Quindi non poteva essere installato senza accordo sindacale o autorizzazione amministrativa, che nella fattispecie mancavano.
E qui nascono le prime perplessità. Il concetto di indispensabilità adottato dal Garante per definire lo strumento di lavoro è infatti piuttosto opinabile, sia in generale sia con riferimento al caso concreto. Uno strumento di lavoro è ciò attraverso cui viene resa la prestazione. Il concetto di «indispensabilità» cui si riferisce il Garante (e prima di lui l’Ispettorato del lavoro) è assai più restrittivo di quello di strumentalità, e implica che non ci siano altri modi di eseguire il lavoro.

Così però si restringe non poco il perimetro degli strumenti di lavoro (c’è sempre un altro modo di rendere la prestazione) e si allarga corrispondentemente l’area dei dispositivi che richiedono l’autorizzazione sindacale o amministrativa, depotenziando di fatto la riforma dell’articolo 4.

Se si aggiunge che il Garante censura in quanto “sproporzionato” il sistema, poiché esso consente un “ampio monitoraggio individualizzato” e un “controllo penetrante” della prestazione lavorativa (come ha fatto anche l’Ispettorato nazionale del lavoro a proposito dei software di gestione dei call center), le preoccupazioni aumentano.

I processi, sempre più rapidi, di automazione attraverso strumenti digitali (favoriti dalle agevolazioni di “industria 4.0”) implicano inevitabilmente la tracciabilità totale di tutte le attività che vengono compiute. Certamente, alla luce dell’evoluzione tecnologica, occorre trovare il modo di contemperare le esigenze di organizzazione del lavoro e il diritto alla dignità e riservatezza dei lavoratori.

L’informazione agli interessati e la trasparenza dei controlli (imposti dal nuovo articolo 4) giocano in questo un ruolo chiave, e tutelano il singolo anche più dell’autorizzazione preventiva. Anche il trattamento delle informazioni raccolte può e deve essere regolato, senza però cadere nella tentazione di negare il problema contrastando, di fatto, l’applicazione di nuove tecnologie nei luoghi di lavoro.