Omessi contributi previdenziali: quando diventano un reato penale

Omessi contributi previdenziali: quando diventano un reato penale

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Il periodo da considerare per verificare se l’omesso versamento di ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro ha superato l’importo di 10mila euro, diventando così reato penale, va dal 16 gennaio al 16 dicembre di ogni anno.

Così hanno deciso le Sezioni unite della Corte di cassazione, come emerge dall’informazione provvisoria depositata in questi giorni (le motivazioni saranno note solo tra qualche tempo).

Con l’approvazione del decreto legislativo 8/2016 il mancato versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali è stato depenalizzato per un importi fino a 10mila euro all’anno. Le ritenute, però vengono versate il giorno 16 del mese successivo a quello di competenza. Dato che la norma non specifica da quando far iniziare l’anno di osservazione, il ministero del Lavoro, con la lettera circolare 9099 del 2016 aveva dato indicazioni di considerare l’arco temporale che va dal 16 gennaio al 16 dicembre, riferito quindi alle ritenute del mese di dicembre precedente fino a quello di novembre seguente. Tale criterio, che potrebbe essere definito di cassa, è stato adottato dall’Inps.

Tuttavia con diverse sentenze del 2017, le sezioni penali della Cassazione hanno ritenuto di utilizzare come periodo di riferimento quello che va dal 16 febbraio di un anno al 16 gennaio dell’anno seguente (quindi le ritenute dovute da gennaio a dicembre dello stesso anno – privilegiando il criterio della competenza). A tali nuove disposizioni si era già uniformato l’Ispettorato nazionale del lavoro, con lettera circolare 8376 del 25 settembre 2017 .

Questa decisione, però, ha messo in difficoltà l’Inps dato che, come sottolineato in una nota inviata ai vertici della Cassazione, erano numerose le contestazioni già effettuate sulla base del criterio temporale contestato dai giudici supremi (ma fatto proprio dall’Istituto anche dopo un confronto con la Procura di Roma).

E allora era stato l’Inps stesso a sollecitare un chiarimento sul punto con una nota indirizzata ai vertici della Cassazione, nella quale si faceva notare come il passaggio da penale ad amministrativa della sanzione per la violazione sotto soglia, aveva imposto all’Istituto di riorganizzare in tempi ridottissimi, per rispettare il termine di 90 giorni entro il quale notificare la contestazione dell’illecito amministrativo rilevato dagli atti restituiti dalle Procure, i processi di gestione della materia contributiva e di commissionare programmi informatici adeguati.

Anche perché, sottolineava l’Inps, il fenomeno ha dimensioni assai rilevanti, visto che al 30 settembre 2017 erano state rilevate 3.199.829 violazioni a partire dal 2010 ed erano state, a quella data, inviate 18.777 diffide penali e 366.478 notifiche per contestazioni di illecito amministrativo, con un costo complessivo per le sole notifiche di quasi 5 milioni di euro.

Con la decisione presa ieri, le Sezioni unite indicano come criterio da adottare quello già definito dal ministero del Lavoro e utilizzato dall’Inps che a questo punto potrà tirare un respiro do sollievo. Se infatti le Sezioni unite avessero preso un’altra decisione, più aderente alle ultime pronunce della Cassazione, si sarebbe reso necessario il riesame di migliaia di fascicoli, compresi quelli inviati dalle Procure che hanno adottato il medesimo criterio di quella romana: si sarebbe cioè dovuto nuovamente accertare se può essere ancora contestato l’illecito amministrativo o se è necessario rimandare gli atti ai pubblici ministeri interessati, mettendone in risalto il profilo penale. «Inoltre – aveva scritto l’Inps alla Cassazione – si dovrebbero commissionare le modifiche ai programmi informatici e riesaminare tutte le contestazioni di illecito amministrativo già notificate e, ove necessario, revocarle».